Ho notato negli ultimi mesi un aumento di casi di ipocondria tra le persone che si rivolgevano al mio studio di Torino TERAPIA INDIVIDUALE.

Non tutto si può attribuire ai “mala tempora currunt ” che stiamo vivendo per via del COVID, ma è innegabile che esso abbia “smosso le acque”, già molto agitate per qualcuno.

Come sempre andiamo all’origine del nome.

Nel mondo greco antico gli ipocondri erano le zone dell’addome situate sotto le ultime costole, dove ci sono alcuni organi interni, come ad es.fegato e milza. Ipocondri infatti significa cartilagini. 

Visto che proprio negli ipocondri secondo gli antichi era presente la bile nera, per Ippocrate ipocondria era un termine attribuito a quelle persone che erano malinconiche ovvero avevano una tristezza immotivata, ansia, depressione e stanchezza.

Tra l’altro questa concezione è arrivata addirittura fino alle soglie del Rinascimento e solo a metà del 1600 si è iniziato a interrogarsi su chi fosse veramente un ipocondriaco.

Facendo un salto ai giorni nostri, o quasi, nell’edizione del 2013 del DSM, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, praticamente la Bibbia per psichiatri e psicologi, i problemi ipocondriaci sono stati suddivisi in due grandi rami: 

a):prevalenza di problemi fisici, 

b) i sintomi somatici sono sullo sfondo, visto che la parte del leone la fa la paura.

Esistono quindi due grandi categorie:

  • DISTURBO DA SINTOMI SOMATICI.

In questa categoria sono presenti uno o più sintomi somatici che creano disagio e problemi nella routine quotidiana. 

I sintomi possono essere:

  • specifici, ad es. dolore in una parte del corpo;

  • aspecifici come ad esempio la stanchezza. 

Secondo un altro criterio, che deve essere presente per far diagnosi di disturbo da sintomi somatico, la preoccupazione rispetto alla malattia deve essere molto alta.

Ci sono pensieri, sensazioni e comportamenti eccessivi messi in relazione a sintomi somatici, come ad es. pensieri sproporzionati sulla gravità dei sintomi o un livello elevato di ansia.

L’angoscia quindi è concentrata prevalentemente sui sintomi e sul loro significato.

  • DISTURBO DA ANSIA DI MALATTIA.

In questo caso il focus non è tanto sui sintomi quanto sulla paura ad es. la preoccupazione di avere o contrarre una grave malattia che non è stata diagnosticata.

I sintomi somatici sono lievi ma il malessere dell’individuo deriva soprattutto dall’ansia per il senso e il significato, la causa del sintomo.

La persona va in allarme facilmente sul proprio stato di salute e mette in atto una serie di comportamenti eccessivamente correlati alla stessa.

Lasciando da parte le classificazioni diagnostiche, quello che interessa nel caso dell’ipocondria è che purtroppo i tentativi di soluzione messi in atto dal paziente sono quelli che alla fine mantengono il sintomo.

Sono solita dire ai miei pazienti che il sintomo, qualsiasi esso sia, da un attacco di panico ad un’ansia generalizzata, o a qualcosa di ancor più grave, in realtà è il nostro miglior alleato poiché rappresenta il modo migliore con cui la nostra mente è riuscita a risolvere un problema che ci portiamo magari dietro da anni e che non abbiamo mai preso in considerazione. 

Alla fine è proprio il nostro corpo che ci chiede il conto e quindi diciamo che “se non lo capiamo con le buone ce lo fa capire con le cattive” (per parafrasare un noto film).

Di meglio non è riuscito a fare…

Per questo il sintomo non deve essere demonizzato ma è il nostro migliore alleato per entrare nella mente del paziente, ed aiutarlo a uscirne. Questo di qualsiasi problema si tratti

Il fatto è che spesso le tentate soluzioni disfunzionali, (termine messo a punto da Brief Therapy Center del Mental Research Institute di Palo Alto), non fanno che supportare il problema.

Si definiscono come tentate soluzioni tutte quelle azioni che la persona mette in atto per affrontare il problema ma che in realtà lo mantengono e addirittura arrivano a peggiorarlo o a crearne uno differente. 

Un esempio per tutti: si può aver paura di andare in un certo luogo e allora lo si evita per timore dell’ansia che da ciò deriverebbe. Ciò non fa però che confermare l’idea che la persona non è in grado di andare in quel posto ed è incapace di affrontare le proprie ansie.

Proprio l’ evitamento è una delle caratteristiche principali delle fobie ipocondriache. 

Charlie Chaplin ad esempio era talmente terrorizzato dalla paura di ammalarsi per un colpo d’aria che quando girava i film si preoccupava lui stesso in prima persona di chiudere bene tutte le porte e tutte le finestre.

Di solito l’ipocondriaco si struttura su quattro dimensioni:

  • dimensione fobica: si mettono in atto comportamenti di evitamento, precauzione, sfogo relazionale etc…;

  • dimensione ossessiva: ci si fissa sull’idea di avere una malattia o dolori da qualche parte etc…;

  • dimensione paranoica si fornisce un’attribuzione fuori dalla realtà dal punto di vista di senso e di significato a quello che si percepisce a livello corporeo etc…;

Trasversalmente a queste 3 vi è una dimensione compulsiva ovvero controllo e richiesta di rassicurazione sia medica che relazionale etc…

Tra le tante classificazioni, per amor di brevità, pongo l’accento su quella che viene definita ipocondria classica, ovvero la paura generalizzata delle malattie caratterizzata dalla migrazione dei sintomi e delle cause del problema. 

Quindi anche la paura delle malattie per la persona che ne è afflitta non è mai monotona, fissa e uniforme ma varia a seconda dei sintomi corporei che si presentano di volta in volta e che possono essere focalizzati su singoli organi o su singole patologie.

Ciò che è importante è che la sofferenza provocata dai sintomi è quasi sempre in secondo piano. Ciò che è importante, quindi, non è il sintomo in sé ma le potenziali conseguenze che deriverebbero dall’eventuale presenza di malattie associate proprio a quei sintomi.

Dopo questa disanima immagino vi starete chiedendo: “Si, ma come ne esco!?”. 

Darvi delle formule valide per tutti non sarebbe serio (vedasi il prossimo articolo sulle cause dell’ipocondria).Inoltre ricordate che se i sintomi esistono a qualcosa servono?

Una cosa però posso dirvela, anzi due:

1)”Ethos anthropoi daimon” ovvero “Nulla spaventa gli uomini più delle proprie sensazioni” ci insegna Eraclito;

2)Mai come in questo caso vi dico di rivolgervi a un professionista che vi saprà dare le migliori indicazioni per stare meglio, con voi e con gli altri

Dott.ssa Sabina Natali, Psicologa, Psicoterapeuta Torino
C.so IV Novembre, 8.
E-mail: info@natalipsicologatorino.it
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