Le demenze che colpiscono gli anziani (la più conosciuta è la sindrome di Alzheimer)sono state definite come una “malattia familiare” e le famiglie come “vittime nascoste” della stessa malattia. I familiari infatti si trovano in una situazione non solo critica e difficile da gestire ma anche paradossale: da un lato sono i principali prestatori di cura e di assistenza per la persona colpita, dall’altro cercano di continuare a mantenere con il congiunto un rapporto fatto di affetto e relazioni, avendo però a che fare con una persona molto diversa da quella che erano abituati a conoscere , una persona che arriva non solo a non capirli più ma neppure a riconoscerli, quindi in un certo senso ad obbligarli ad avere un rapporto unidirezionale.

Il compito di prendersi cura di un simile paziente comporta non solo una fatica fisica ma anche psicologica e sottrae tempo alle normali attività della routine quotidiana: lavoro, famiglia, sonno, amici, relazioni sociali.

Si è calcolato in particolare che i familiari di un malato affetto da A.D. dedichino mediamente sette ore al giorno all’assistenza diretta del paziente e quasi undici ore alla sua sorveglianza o all’assistenza indiretta.. Ovviamente il numero delle ore aumenta con il progredire della malattia.

Così spesso, pur desiderando prestare le necessarie cure, ci si trova sottoposti ad uno stress psicofisico molto forte e primi a subirne le conseguenze sono proprio le relazioni sociali, la propria “rete sociale”. Così l’ impatto della malattia può anche creare un vero e sproprio scompenso delle dinamiche intrafamiliari fino ad arrivare alla comparsa di conseguenze fisiche e psichiche in alcune componenti della famiglia stessa

Gli indicatori di stress nei caregiver sono: rabbia, ansia, depressione, tendenza all’isolamento, irritabilità, insonnia, problemi di salute.

Quando poi le risorse presenti all’interno del sistema familiare non dovessero più essere sufficienti è necessario rivolgersi al mondo esterno, in particolare ai servizi sanitari. Il loro utilizzo può alleviare e contenere lo stress e la depressione dei caregiver, ma è sempre conflittuale…

Il laboratorio ha lo scopo di:

  • Aiutare i caregiver a uscire dall’isolamento conseguente al loro stressante lavoro di cura;
  • Fornire un ambiente protettivo in cui i membri si sentono accolti e sostenuti da altre persone che condividono con loro preoccupazioni e problemi simili.
  • Acquisire, attraverso il confronto, nuovi modi per affrontare situazioni problematiche e sviluppare nuove strategie per risolvere i problemi;
  • Offrire un’opportunità per avere relazioni sociali informali;
  • Donare un “sollievo emotivo” conseguente allo scambio di esperienze tra soggetti che hanno pesi emotivi e problemi simili. Il gruppo permette infatti di avere a disposizione diversi punti di vista ed uscire dall’omeostasi di molte relazioni;
  • Permettere alle emozioni di essere espresse e non controllate o represse
  • Migliorare la considerazione di sé e delle proprie competenze rafforzando il proprio ruolo di cura