I sintomi nella sindrome di Burden

Un nome “altisonante”, conosciuto forse più dagli addetti ai lavori, ma che in realtà colpisce moltissimi caregiver A questo proposito si veda anche: Caregiver in psicologia

È spesso ampiamente sottovalutata poiché confusa con un naturale stato transitorio di stanchezza, dovuto alla mole di lavoro su più fronti, che il caregiver si trova ad affrontare.

Il termine ancora una volta deriva dall’inglese burden che significa fardello. È la “cugina prima” della sindrome da burnout, che colpisce soprattutto gli operatori  socio-sanitari. Esiste però una differenza poiché, se è vero che in quest’ultimo caso si parla di professionalità e quindi di esaurimento delle risorse professionali in un lavoro di cura, nel caso dei caregiver non vi è un coinvolgimento professionale ma fisico e psicologico, oltre ovviamente personale ed affettivo. In una parola: totalizzante.

Ormai da anni i riflettori della scienza si sono accesi su tale tema poiché esso è strettamente correlato a quello dell’assistenza all’anziano non più autosufficiente, di estrema attualità per via del progressivo invecchiamento della popolazione.

Le statistiche mondiali stimano che nel 2020 la maggioranza della popolazione italiana avrà un’età compresa tra i 45/60 anni e nel 2050 il numero di anziani supererà nettamente quello dei giovani.

Tale tema non riguarda (e riguarderà) solo la salute psico fisica degli anziani ma anche di chi si prende (prenderà) cura di loro.

In cosa consiste la Sindrome di Burden? Si tratta di un perdurante stato d’ansia e stanchezza cronica, associato ad insonnia (dovuta sia alla cura dell’anziano malato anche durante la notte, sia a preoccupazioni e modifiche del ciclo sonno /veglia), facile irritabilità e difficoltà di concentrazione, attenzione e memoria.

Tutto ciò porta a una diminuzione delle difese immunitarie e ad una conseguente alterazione dello stato di salute del caregiver, che tende così ad ammalarsi più facilmente con disturbi di vario grado e genere. 

Essi peraltro vengono sottostimati poiché: “non ha tempo” di prenderli in considerazione e…: “Si poi vado dal dottore”. Nella testa del caregiver esiste un unico obiettivo: prendersi cura del malato in modo unico e totalizzante perché: “Come fa senza di me?”.

Ho sempre sostenuto che i sintomi non giungono a caso ed il nostro corpo “ci parla”. Anche in questa occasione non solo ci informa che la stanchezza ha superato abbondantemente il limite, ma anche che esiste un disagio psicologico marcato di cui è bene prendersi cura. 

Parlerò in un articolo successivo di quanto tutto ciò sia vissuto con sensi di colpa dal caregiver.

Per ora sottolineo come siano stati stati messi a punto anche test specifici per misurare la scala di Burden (ne ho contati 9 ma sono certa ne esistano altri). Ne cito uno tra tanti, il CAREGIVER BURDEN INVENTORY (CBI) di Novak M. e Guest C., Gerontologist, 29, 798-803, 1989. 

Con domande molto mirate come ad es.:”Provo risentimento verso dei miei familiari che potrebbero darmi una mano ma non lo fanno” o: ”Desidererei poter fuggire da questa situazione” si mettono in luce criticità che afferiscono a 5 ambiti: 

  • CARICO OGGETTIVO:stress causato dalla riduzione del tempo dedicato a se stessi
  • CARICO EVOLUTIVO: s e n s o d i fallimento delle proprie speranze ed aspettative
  • CARICO FISICO: stress fisico e disturbi somatici…..
  • CARICO SOCIALE: causato dal conflitto di ruolo fra il proprio lavoro e la famiglia;
  • CARICO EMOZIONALE: i m b a r a z z o o vergogna causati dal paziente.

Insomma un argomento delicato che merita la giusta attenzione non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico.

Diceva il saggio: “Quando manchiamo a noi stessi manchiamo a tutto il resto” e, aggiungo io, anche alla persona a noi cara.

Dott.ssa Sabina Natali, Psicologa, Psicoterapeuta Torino
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