“Tutti commettono errori. E’ per questo che c’è un errore per ogni matita”. Proverbio giapponese

Il fatto che la psicologia musicale si sia sempre occupata più di tecnicismi che dei reali problemi della carriera di un musicista certo non aiuta chi soffre di ansia da palco.

Lo stesso linguaggio utilizzato ha poco a che fare con i problemi che un musicista deve affrontare durante la propria carriera, soprattutto se all’inizio della stessa. In realtà, però, molto avrebbe da dire la psicologia sulla possibilità di migliorare non solo le prestazioni ma anche molti altri aspetti della vita dei musicisti. Questi ultimi infatti, dal canto loro, hanno un ottimo bagaglio di nozioni acquisite dallo studio e dalla pratica sul campo ma scarsa conoscenza dei fattori mentali, emotivi e motivazionali che intervengono così fortemente durante le esibizioni, (e prima, durante la loro preparazione). Manca inoltre in loro anche la consapevolezza di quanto questi fattori possano influenzare la loro attività.

Prendiamo ad esempio l’attenzione. Spesso i musicisti lamentano il fatto che la loro attenzione ad un certo punto inizi a “vagare”, di solito verso pensieri non proprio “ottimisti” (“non ce la farò mai, questo passaggio non mi viene etc.etc”). Due ricercatori dell’Università di Sidney hanno messo sotto la lente di ingrandimento due teorie che considerano il ruolo giocato dall’attenzione sugli errori nelle performance. Secondo la prima teoria (“teoria della distrazione”) gli errori avverrebbero quando si sposta l’attenzione su informazioni “non importanti”, ad es. la paura di dimenticare le note o quella del giudizio del pubblico. Secondo l’altra teoria, quella del “monitoraggio volontario dei gesti”, quando si è in una situazione di forte stress emotivo l’attenzione si concentrerebbe soprattutto sui singoli gesti compiuti mentre si sta suonando, gesti che invece si sono ormai ampiamente automatizzati. A livello cerebrale accade che, mentre è il cervelletto ad avere in mano il “pilota automatico” delle nostre azioni, sono altre le zone del cervello che controllano ciò che non si conosce così bene. E’ così che il portare attenzione su comportamenti che in realtà sono automatici stimolerebbe le due zone cerebrali ad entrare in conflitto. In altre parole…per un musicista esperto pensare a dove mettere le dita sullo strumento può bloccare l’esecuzione ma non perché il musicista “non è bravo”, semplicemente perché in quel momento le sue aree cerebrali sono in conflitto.

Ciò dovrebbe lenire almeno un po’ il senso di colpa che vedo nei miei pazienti con l’ansia da palco, mentre mi raccontano, nel mio studio di Torino, ciò che accade loro durante l’esecuzione.

 

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Dott.ssa Sabina Natali, Psicologa, Psicoterapeuta Torino
C.so IV Novembre, 8.
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