Maestra fa rima con minestra….e con tante altre cose che non starò qui a citare.

Non è che mi sia svegliata poetica in periodo natalizio.

E’ il titolo di un (bellissimo) libro scritto da Stefania Lucrezia Fiorelli (ed.Effedi, Vercelli, 2020) che parla di un argomento sul quale tutti sembrano sapere tutto ma che in realtà conoscono solo quelli che ci sono”dentro”.

La fatica del lavoro dell’insegnante, e non solo i famosi “3 mesi di ferie” (che poi vero non è neppure un pò) e come questo “mestiere” sia cambiato nel corso del tempo e come ora più che mai sia cosi complicato onorare.

Ho avuto l’estremo piacere di curarne l’introduzione.

Non prima di averlo letto in ogni sua parte ed averlo apprezzato tantissimo.

Un libro da leggere soprattutto per chi ha deciso di intraprendere questo viaggio in un mondo cosi completo e complicato come l’istituzione Scuola.

Vi “spoilero” l‘introduzione (non tutta però!) ma comprate il libro (o regalatelo) perché ne vale la pena.

Il libro lo troverete a breve su Amazon o per chi è di Torino presso la Libreria Belgravia (o chiedendo direttamente a me)

PS:Chissà che prima o poi, a forza di fare, ne scriva uno anche io. E’ già in cantiere…

INTRODUZIONE

Tra i tanti (antichi) giochi di bambini ce n’è uno che ha sempre messo in crisi generazioni di creature: “Giochiamo a pregi /difetti”, che spesso veniva anche declinato come: “Obbligo o verità?”. In entrambi i casi la vergogna di doversi rivolgere, chissà perchè, a qualcuno di più grande, o del quale eravamo innamorati/e, prendeva il sopravvento.

Se dovessi applicare quel gioco al libro di Stefania direi…

Pregio: aver raccontato con delicato realismo una realtà, quella delle insegnanti, come forse non era mai stato fatto prima, se non nelle chiacchiere stereotipate da bar tra amici o sulle testate di qualche giornale.

Difetto…che poi è un pregio (ecco, ho barato!): averlo fatto con “il guanto di velluto”. Allora a me il compito di sottolineare che si, cari lettori, quello dell’insegnante (di qualsiasi ordine e grado di scuola si parli) è una professione (non una missione!). 

Molto complessa, e questo lo leggerete nei capitoli successivi, magistralmente spiegato. Ci si potrà porre la domanda: “Perchè le cose sono così cambiate?”.

Innanzitutto il ruolo dell’ insegnante, all’interno della società, si è di molto modificato. L’Istituzione Scuola è relativamente recente. Si sviluppò nell’Ottocento quando gli Stati decisero di permettere ai cittadini di avere un’istruzione a diversi livelli. Inoltre, fino alla seconda metà del Novecento, quello dell’insegnante era uno dei pochi lavori permessi alle donne e incoraggiato dalla famiglia e dalla società. In questo modo si integrava la paga del marito che portava i “soldi a casa” e la donna aveva molto tempo da dedicare alla famiglia.

Al tempo ciò che succedeva in classe meritava il massimo rispetto anche solo perché: “lo ha detto la maestra” e quindi nessuna discussione. Il suo potere era indiscusso e al limite a casa si provvedeva a rafforzare le parole del docente, ciascuno con i suoi metodi…

Anche il rapporto con gli allievi era diverso, più freddo e distaccato e le punizioni (spesso anche corporali) erano all’ordine del giorno. Oltre a ciò l’insegnante era unico nel senso che era il solo punto di riferimento per l’educazione.

Molte cose dall’epoca si sono modificate, in particolare da quando i programmi hanno permesso l’ingresso, (a volte decisamente “a gamba tesa “) dei genitori nell’organizzazione scolastica e nella didattica, togliendo potere e credibilità al magister. Per non parlare dello stipendio a fine mese, decisamente misero non solo se confrontato con la media europea ma anche e soprattutto con la mole di lavoro e la responsabilità che il ruolo comporta.

Da queste poche (per ragione di spazio, non sicuramente per quanto ci sarebbe da dire sull’argomento) considerazioni si può già evincere quanta sia la crisi degli insegnanti. E pensare che etimologicamente il termine Maestro rimanderebbe a tutt’altro. Deriva, infatti, dal latino “magister” (da magis, di più); in ebraico maestro è “rabbi”, che significa “grande” ed in sanscrito “guru”, pesante di dignità e prestigio…Che potenza in 7 lettere!

Eppure il burn-out negli insegnanti è sempre più palese. Il termine è stato introdotto da Freudenberger nel 1974 per indicare una sindrome particolare che pareva colpire proprio le persone che lavoravano in istituzioni che si prendevano cura dell’altro.

Con il tempo la sua accezione si è allargata ad indicare, in generale nelle professioni di aiuto, una situazione di forte stress prolungato che crea un logorio psico- fisico che può avere conseguenze anche gravi e che si manifesta in ambito:

Comportamentale: aggressività, apatia, protratte assenze lavorative fino ad arrivare all’abuso di alcol o sostanze (tra cui farmaci).

Cognitivo/Emotivo: trascuratezza degli affetti e delle relazioni sociali, non considerazione delle emozioni; eccessiva importanza data al lavoro (o, il suo contrario, demotivazione), aggressività, difficoltà a concentrarsi, facile aggressività.

Fisico: insonnia, cefalea, disturbi intestinali, mancanza di appetito, abbassamento delle difese immunitarie, facile affaticabilità, debolezza.

La causa ovviamente non è univoca. I fattori predisponenti sono:

fattori personali: eccessivo desiderio di aiutare gli altri, marcati tratti nevrotici, bassa autostima;

fattori organizzativi: ruolo assunto nella gerarchia professionale, il far parte di un’organizzazione che non investe sui lavoratori, dando tutto per scontato, pretese eccessive.

fattori inerenti il tipo di lavoro svolto: è indubbio che il lavoro dell’insegnante sia di per sé estremamente logorante.

Dove porta tutto ciò? Una delle maggiori conseguenze è l’insorgenza di patologie psicosomatiche e psichiatriche.

Il primo studio in merito (Lodolo D’Oria) si trova sulla rivista: “La medicina del Lavoro (N. 5 /2004)”. L’autore, partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per l’inabilità al lavoro, effettuati dal Collegio Medico della ASL Città di Milano nel periodo 01/1992 – 12/2003 per un totale di 3447 casi clinici, ha confrontato quattro categorie professionali di dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori manuali).

Gli insegnanti sono soggetti allo sviluppo di patologie psichiatriche due volte pii rispetto agli impiegati, due volte e mezzo quella del personale sanitario e tre volte quella degli operatori manuali.

Molti altri studi sono stati fatti dall’epoca.

In generale si è visto che l’inidoneità degli insegnanti è causata da patologie psichiatriche in oltre il 60% dei casi (il 70% delle quali appartengono all’area ansioso-depressiva), mentre le “disfonie” sono appena il 13% (5 volte di meno). Ciò significa che devono essere ritenute patologie professionali dei docenti anche e soprattutto le patologie psichiatriche.

Tutto ciò può far molta paura, soprattutto alla luce del fatto che non esiste una normativa che tutela gli insegnanti “in crisi”.

Ecco allora che la domanda sorgerebbe spontanea: perché così tante nuove leve puntano al concorso per l’insegnamento?

Non posso dirvi tutto io…Buona lettura!

Stefania Lucrezia Fiorelli: Maestra fa rima con minestra, Ed. Effedi, Vercelli, dicembre 2020.

Dott.ssa Sabina Natali, Psicologa, Psicoterapeuta Torino
C.so IV Novembre, 8.
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