Una volta iniziata una lite nessuno saprà quello che accadrà”. Cicerone

Sempre più spesso si sente parlare (e si legge) di dipendenza affettiva; sarà anche per questo che mi capita, nello studio di Torino, di avere pazienti che si dichiarano “dipendenti affettivi” , pur “tecnicamente” non essendolo.

Gli anglosassoni l’hanno definita “love addictional”. Non esistono in realtà dei veri e propri criteri diagnostici per definirla, per questo non è classificata come una vera e propria patologia e non è stata inserita nel DSM IV.
Personalmente sono contraria alle diagnosi tout court. Come dice Bateson “la mappa non è il territorio”. Certo, un’idea di massima è necessaria per potersi orientare nel trattamento (anche nel caso di love addictional), ma in questo concordo con Carl Rogers quando afferma: ”Se accetto l’altra persona come qualcosa di rigido, di già diagnosticato e classificato, di già forato dal suo passato contribuisco a confermare questa ipotesi limitata.Se la accetto come un processo in divenire contribuisco, invece, al limite delle mie possibilità, a confermare e rendere reali le sue potenzialità”.

Fatta questa doverosa premessa, c’è da dire che è possibile identificare in essa degli elementi ricorrenti. Per dipendenza affettiva (o emozionale) si intende uno stato “non sano” nel quale la relazione di coppia è vista come condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza. Ad essere colpite (D.Miller, 1994) sono soprattutto le donne di tutte le fasce di età, con un 99%.

Certo, una vera e propria “indipendenza” affettiva non fa parte del genere umano; un esempio per tutti è dato da quanto il bambino abbia bisogno della madre per la sua sopravvivenza.

Il problema subentra quando nella relazione tra adulti si rimane intrappolati in relazioni affettive che sono solo causa di sofferenza e nelle quali si rimane soffocati. Infatti se la relazione fosse sana, i ruoli up e down di ciascuno dei due partners dovrebbero scambiarsi vicendevolmente e ciò non farebbe che favorire la crescita della coppia. La cristallizzazione non è mai buona cosa.

Vi sono invece situazioni in cui l’altro diventa così importante e unico che si arriva ad annullare completamente se stessi non ascoltandosi e non sapendo più quali sono i propri bisogni e le proprie necessità (mai sottovalutare la frase degli amici più cari quando affermano: “da quando stai con lui non sei più tu”).

Si arriva a parlare di “dipendenza” poiché sono molte le somiglianze con la dipendenza da sostanze.

I campanelli d’allarme principali sono:

  • Terrore dell’abbandono e della separazione;
  • Assoluta devozione nei confronti dell’altro;
  • Paura di perdere il proprio oggetto d’amore;
  • Incapacità di mostrarsi per quello che si è;
  • Relazione simbiotica con il partner.

L’altro viene idealizzato ed amato, così come nell’infanzia è esistito un genitore “irraggiungibile” che in un modo o nell’altro lo ha abbandonato o si è sentito da lui tradito.

Solitamente sono infanzie in cui i bisogni del bambino non sono stati presi in considerazione. Proprio per questo da adulti continuano a perpetuare lo steso copione: dipendenza dagli altri per la cura di sé e la soluzione dei problemi (sono donne che difficilmente sono in grado di stare bene da sole). A ciò si aggiungono spesso maltrattamenti ed abusi (anche fisici), che non sono stati elaborati e che conducono alla ricerca di uomini “da salvare” poiché  credono di essere la loro “migliore medicina”.

Esiste comunque un momento per dire “basta!” e farsi aiutare. Infatti è possibile “uscirne” seppur non sia così semplice.

Piano piano si comincia a vedere l’altro come un “manipolatore affettivo” (o peggio un narcisista patologico) e contemporaneamente si prende in mano la propria vita affrontando una volta per tutte i nodi patologici, che hanno gettato le basi per la nascita di questo disturbo.

Non basta dire: “mi innamoro sempre degli uomini/donne sbagliati/e”. E’ necessario modificare la domanda in: ”Perché io mi innamoro sempre degli uomini/donne sbagliati/e ?”.

Solo rispondendo a questo e a molti altri interrogativi che nasceranno all’interno di un percorso psicoterapeutico, affrontato con un professionista pronto a sostenerci e a guidarci, sarà possibile (ri)cominciare a mettere al centro se stesse.

Come disse Salvador Dali: “Ogni mattina mi sveglio e guardandomi allo specchio, provo sempre lo stesso immenso piacere: quello di essere Salvador Dalì”.

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Dott.ssa Sabina Natali, Psicologa, Psicoterapeuta Torino
C.so IV Novembre, 8.
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