Coronavirus e psicologia: riflessioni sparse su questo “tempo sospeso”.

Ho pensato a lungo se scrivere un articolo sul Coronavirus dal punto di vista psicologico, poiché la rete abbonda in tal senso. Alla fine ho deciso di farlo perché la mia professione un pò lo “impone” e perché comunque qualche spunto diverso posso contribuire a darlo.

Quella domenica 23 febbraio, giorno nel quale “tutto cominciò “ (ormai a livello di distanza percepita più o meno un fantastiliardo di anni fa), mi trovavo in vacanza a Vienna.

Là tutto era come sempre:musei e caffè viennesi stracolmi per le vacanze di carnevale, code per gli ingressi alle mostre o nei ristoranti, mezzi di trasporto affollati. Insomma la “solita vita” (con il senno di poi aggiungerei…”di prima”).

L’unica finestra sul cambiamento imminente proveniva da chi invece era rimasto a Torino che mi chiedeva, allarmato, “Ma ti fanno tornare in Italia?”.

Io, come milioni di persone in quel momento, non capivo. Non capivo l’allarme, cosa stava succedendo, anche per la distanza fisica da me là alla mia città qua. Ciò che vedevo, era, ad es. il cambio di colore della pagina online de La Stampa. Non so se ci avete fatto caso ma lo sfondo non era (e ancora adesso non è)  più bianco ma nero.

Già solo questo non faceva presagire nulla di buono…

Il tempo di tornare ed ecco il lockdown (termine con il quale abbiano iniziato a fare i conti)

Ho continuato a lavorare in studio fino alla prima settimana di marzo (i terapeuti, una professione sanitaria che in teoria avrebbe potuto continuare a rimanere aperta sempre) e poi anche io, in accordo con alcuni colleghi, ho deciso di chiudere e iniziare ad “avventurarmi nella terapia online” (ne parlerò in un altro articolo).

Questa volta ho iniziato a parlarvi di me, contrariamente al solito, poiché siamo tutti “sotto lo stesso cielo” in questo tempo sospeso.

Il virus ha travolto la vita di tutti, senza distinzione di razza, età, sesso e professione . Vero è però che noi psicoterapeuti abbiamo delle “armi in più” per far fronte a questi momenti. Primo tra tutti la possibilità di analizzare un po’ più da vicino cosa sta succedendo. Ed allora…

  • Meccanismi di difesa. Soprattutto inizialmente (ma non solo ahimè ) negare cosa stava succedendo (“è solo un influenza” oppure “tanto non mi riguarda” ) ha permesso di iniziare a “prendere le misure” con questa pandemia. Anche i canti che abbiamo sentito provenire dai balconi ( e che ora sono cessati), in Italia come in Spagna, servivano un po’ ad allentare la paura, quasi a negarla. “Se canto, se faccio squadra allora andrà tutto bene”. Un po’ come i bambini quando dicono “Se scoppio tutte le bolle allora sono più forte” un pensiero magico collettivo.

In fondo i meccanismi difensivi sono creati dalla nostra psiche per evitare la sofferenza. In questa situazione poi del tutto particolare anche la mancanza di conoscenza del virus ha giocato a favore del “negare tutto soprattutto davanti all’evidenza”

  • Percezione del pericolo. Mi sono trovata a parlare con dei pazienti anziani, chiedendo loro come vedevano questo periodo (da più parti il rimando infatti è che in questa situazione gli anziani siano a dir poco…indisciplinati!). In fondo avevano affrontato una guerra. Perché aver meno paura del virus e più della guerra?La risposta è stata semplice e, come tutte le cose semplici, anche efficace: ”Durante la guerra sapevi bene da cosa dovevi difenderti perché le bombe erano reali, le sentivi arrivare così come sentivi gli allarmi anti aerei, ora il virus non lo vedi”. Semplice no?Perché un conto è difendersi da qualcosa di ben visibile, un conto da qualcosa che è così aleatorio come una catena di proteine.Forse sono meno pericolose? Proprio su questo concetto si è creato un meme che gira sui social nel quale appaiono degli enormi Coronavirus che rotolano per le strade di una città deserta in mezzo ai grattacieli, con sotto la scritta : ”Se lo vedessi rimarresti a casa ?”

 

  • Paure. Quando le difese si sono abbassate, nella maggior parte (fortunatamente) dei casi cessando del tutto, si è lasciato posto alla paura, declinata in varie forme:paura di ammalarsi, di non reggere questo momento, di perdere gli affetti a noi più cari, paura del contagio, paura….Si sa, la paura è umana, meccanismo adattivo che ci ha permesso di arrivare fino al XXI secolo.

Ora queste paure sono anche fondate e non devono farci “così paura” (scusate il gioco di parole). Come ho scritto all’inizio “siamo tuti sotto lo stesso cielo in questo tempo sospeso” ed è normale avere paura. Dobbiamo essere in grado di ascoltarla e interrogarla, quasi fosse seduta in poltrona accanto a noi, mentre guardiamo una serie su Netflix. Cosa ci sta dicendo di noi, del periodo che stiamo vivendo, questa paura? È naturale averla. Quindi accogliamola, accettiamola ma ovviamente non facciamocene travolgere.

La paura (o l’ansia o la preoccupazione) derivano anche e soprattutto dal non sapere bene cosa stia succedendo. Non siamo i soli a non saperlo. Il virus è mutevole per natura e quindi ciò che è oggi magari non sarà tra qualche giorno perché nel mentre avrà cambiato volto ancora ed ancora. Questo ci porta a non avere controllo e quindi….

  • Ricerca spasmodica di notizie. Non è il sapere quanti morti ci sono stati oggi e l’ascoltare tutti i telegiornali o le trasmissioni di approfondimento della giornata a darci maggiore controllo. Il risultato finale sarà solo aumentare la nostra ansia. Per questo si consiglia di ascoltare solo uno (massimo ma proprio massimo 2) telegiornali/approfondimenti giornalistici al giorno poiché altrimenti si avrà solo l’effetto opposto. E comunque, a meno che non siamo Dio in persona (ed anche qui potrebbero comunque esserci dei ragionevoli dubbi), non potremmo farci niente. È importante invece mantenere il controllo su qualche cosa che può veramente farci stare meglio, ad es. mantenere una parvenza di routine (ma di questo parleremo meglio nel prossimo articolo).

 

  • Il lutto. Stiamo vivendo una situazione di lutto collettivo. Dalle situazioni meno gravi (se vogliamo): la perdita della nostra libertà, del nostro modo di lavorare, delle uscite con gli amici, delle relazioni amicali di persona, fino a quelle realmente più gravi: la perdita di un amico, un conoscente, un padre o un fratello. E questo virus porta via con se non solo le loro vite (proprio quelle nascoste dietro alle statistiche ed ai numeri, perché ricordiamo che il decesso del paziente numero 108.752 aveva un nome ed un cognome fino a ieri, oltre a una storia di vita e a degli affetti) ma anche i riti, quelli legati alla morte. Antoin de Saint Exupery in quel capolavoro che è “Il Piccolo principe “ parlando dei riti afferma

 “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti“.

 — “Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.

— “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata“, disse la volpe. “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore.“

Anche il lutto ha dei riti: scegliere i vestiti, i fiori, il tipo di bara e di rito funebre, una preghiera o una musica particolare, o la poesia preferita da chi ci ha lasciato. Tutto ciò serve per far “digerire meglio” la morte ( gli psicologi direbbero “elaborare il lutto”). Invece, proprio per decreto, i funerali sono stati aboliti (massimo 4 persone, massimo!). Nessuno dimenticherà mai i camion militari pieni di bare che si trasferiscono in altre regioni.

I parenti non possono neppure dare un ultimo saluto al loro caro, che magari avevano visto entrare in ospedale ancora “con le proprie gambe” e si vedono recapitare in mano gli oggetti “in un sacco della spazzatura “ (non sapendo magari che quegli oggetti sono stati trattati con il massimo rispetto dal personale sanitario che fino all’ultimo ha cercato di salvarne il proprietario… )

Tutto ciò ha un effetto negativo sull’elaborazione stessa del lutto creando un “lutto complicato” che andrà ad aggiungere altra sofferenza a quella già presente.

  • Con chi trascorri la quarantena fa la differenza.Ho riflettuto sul fatto che non tutte le quarantene sono uguali e proprio con chi le trascorri fa la differenza. Penso ad esempio alle coppie che vedo nel mio studio di Torino e che stavo trattando proprio per un’alta conflittualità. Conflitto di coppia: “come imparare a litigare”.

Loro, come molte altre sparse nel mondo, avranno maggiori problemi rispetto a chi invece vive una situazione di coppia serena e può utilizzare questo tempo sospeso proprio per rafforzare ancora di più il legame. Penso anche alle molte donne che subiscono violenza da parte dei loro compagni non potendo neppure denunciare, atto già molto difficile precedentemente.

E alle molte persone sole, che non hanno fatto della solitudine una scelta ma che “ci si sono trovati”. Agli anziani, a chi ha appena concluso una relazione importante e oltre alle difficoltà del periodo deve anche sopportare da solo quello della perdita La fine di un amore e i ricordi legati agli oggetti: stare meglio passa anche dalla raccolta differenziata.; oppure ancora a chi ha perso il marito/moglie/figli/fratello/sorella per il coronavirus e quindi è rimasto solo.

Proprio per questi motivi non tutte le quarantene sono uguali.

Se siete arrivati fin qui e avete letto attentamente questo articolo avrete sicuramente notato che non ho scritto un decalogo su come si fa a superare tutto ciò. Non ho parlato di resilienza (ebbene sì, lo confesso, ho fatto fatica a non farlo), o dei “ 5 metodi per superare il coronavirus indenni dal punto di vista Psicologico”. Non l’ho fatto, non solo perché questo sarà argomento di un altro articolo (ovviamente non in modo così semplicistico) ma soprattutto perché penso che sia corretto in questo momento per tutti quanti accogliere i propri sentimenti negativi, i propri Up e Down, che si susseguono non solo all’interno della settimana ma anche della stessa giornata e più volte al giorno.

Ecco, a conclusione di ciò che avete letto posso però permettermi di dire una frase un po’ così: è un buon momento per ascoltarsi.

Imparare a farlo sarebbe già un’enorme conquista. Alla prossima..

Dott.ssa Sabina Natali, Psicologa, Psicoterapeuta Torino
C.so IV Novembre, 8.
E-mail: info@natalipsicologatorino.it
Tel: 338/3052197