Ansia da palcoscenico e betabloccanti: questi medicinali risolvono davvero il problema?


Non sono pochi (ahimè) i musicisti che ho visto nel mio studio di Torino che per “risolvere” l’ ANSIA DA PALCOSCENICO  mi hanno confessato di ricorrere (o di aver fatto ricorso “ma solo qualche volta”) ai beta-bloccanti. Cito a questo proposito una ricerca (Fishbein, Middlestadt, Ottati, Straus, & Ellis, 1988); che è diventata un “classico” e che risulta molto interessante (oltre che, a mio parere, sconcertante).

Sono stati intervistati, attraverso un questionario costruito ad hoc, 2212 componenti di 48 delle più prestigiose orchestre internazionali, chiedendo loro se usavano beta-bloccanti, in che occasione e a quale scopo. E’ risultato che il 27% degli intervistati ne facesse uso, maggiormente le donne rispetto agli uomini, soprattutto sotto i 35 anni. Il 64% degli intervistati li utilizzava senza prescrizione medica.

Il 72% degli utilizzatori occasionali lo faceva prima della performance artistica. Interessante anche notare, a questo proposito, una differenza tra uomini e donne. Il 54% degli uomini li usava prima delle performance orchestrali più complesse, rispetto a quanto lo si facesse per quelle solistiche (47%). Tali proporzioni si invertono invece per le donne. 

Inoltre, la maggior parte dei musicisti avverte la presenza di qualche disturbo fisico (dolori muscolari, distonia focale etc) o psicologico (ansia da palco appunto). In questo senso i due trattamenti di elezione erano: utilizzo di betabloccanti e consulenza psicologica.

Cosa sono i betabloccanti e come (se) agiscono sull’ansia da palco? Detti anche agenti bloccanti beta-adrenergici sono medicinali soggetti a prescrizione medica che agiscono principalmente, diminuendo la frequenza del battito del cuore bloccando l’azione di ormoni come l’adrenalina.

Possono essere usati per curare: l’ipertensione arteriosa, l’angina pectoris, l’insufficienza cardiaca e la fibrillazione atriale. Hanno anche importanti effetti collaterali: aritmia, attacchi d’asma, bradicardia, depressione, fluttuazioni del livello di zucchero nel sangue, disturbi circolatori, ipercolesterolemia, stanchezza e impotenza.

Quale può essere la relazione tra ansia da palco e questa categoria farmaceutica? Semplice. Il musicista che non ne può più, dopo anni di ansia da palco o di concorsi falliti a causa dell’ansia (sarà poi vero?), chiede consiglio al vicino di leggio, che combinazione soffre degli stessi disturbi e quindi prova ad assumerli.

L’ansia crea (non solo ma anche) tachicardia e se il betabloccante rallenta la frequenza del cuore l’ansia è risolta! Peccato non sia così semplice.

Questo ragionamento poi si basa su un bias cognitivo, un pregiudizio cognitivo che può indurre in errore. Secondo un meccanismo chiamato bootstrapping (Susan Carey) le esperienze specifiche (“Mio cugino che soffre di pressione alta e ha la tachicardia ha preso il betabloccante e non ha più il cuore che batte cosi forte”) innescano esperienze generali (“Anche io soffro di tachicardia quando devo salire sul palco”) che possono essere utilizzate anche in situazioni differenti (“Allora servirà anche a me quando ho tanta ansia prima di una performance).

I betabloccanti bloccano (appunto) la normale risposta filologica allo stress che vede l’attivazione del sistema nervoso simpatico.

Visto che la risposta dell’organismo alla performance è di tre tipi:

1) Effetti fisici;

2) Effetti mentali;

3) Effetti emotivi.

I betabloccanti bloccano gli aspetti fisici ma permangono “forti e chiari” quelli mentali ed emotivi che continuano a fare il loro “lavoro” se non ce ne prendiamo cura. Paura di avere vuoti di memoria, dubbi sulla propria capacità tecnica, “archetto che trema”, timore di sbagliare, etc. non vengono risolte attraverso l’assunzione (pericolosa senza un adeguato check up) di betabloccanti. E soprattutto ciò che creerà più problemi alla performance saranno gli effetti mentali ed emotivi, di cui quelli fisici sono solo un “corollario”. In effetti non esistono studi clinici che sostengono che l’utilizzo dei beta bloccati possa essere utile nel caso dell’ansia da palco, anzi!

Questa categoria farmaceutica diminuisce gli effetti fisici negativi dell’ansia ma al contempo anche la carica adrenalina necessaria sul palco. Con il betabloccante si è assunta “l’illusione della calma” non la calma vera e propria.

Allora perché i musicisti continuano a fidarsi del loro vicino di leggio e credere ai beta bloccanti?

  1. Se si ha un problema così importante si pensa che la chimica sia la soluzione più veloce. In realtà non lo è affatto. Anzi a lungo andare crea una dipendenza che ha effetti collaterali ben maggiori di quelli dati a livello fisico dal farmaco e dalla stessa ansia da palco.
  2. Si ha timore di occuparsene approfonditamente. In questo caso solo uno psicoterapeuta può aiutare e questo ancora crea timore a molti, musicisti e non.
  3. Effetto placebo. Se mi convinco che una sostanza possa fare effetto quella sostanza farà effetto! (e ciò è supportato da numerosissimi studi dei quali parlerò in un altro articolo). Quindi, in poche parole, se il collega mattacchione scambiasse la pastiglia che noi crediamo essere betabloccante con una mentina proprio prima della performance tanto temuta,e noi assumessimo quella mentina, la nostra mente la percepirebbe come un betabloccante e avrebbe quindi lo stesso risultato (ahhh il potere delle mentine!).

E poi non dimentichiamoci che, come dice Mark Twain: “Preoccuparsi per qualcosa è come pagare gli interessi per un debito che non sei nemmeno certo di avere”.

Dott.ssa Sabina Natali, Psicologa, Psicoterapeuta Torino
C.so IV Novembre, 8.
E-mail: info@natalipsicologatorino.it
Tel:338/3052197